Giornata Internazionale delle donne nella scienza: intervista a Anna Sbalchiero
L’11 febbraio si celebra la Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, è stata proclamata dalle Nazioni Unite ed è un ulteriore passo avanti per combattere stereotipi che pregiudicano l’uguaglianza di genere anche nel campo scientifico.
Noi di HHT Onlus siamo felici di celebrare questa giornata in compagnia della Dottoressa Anna Sbalchiero, biologa molecolare, molto attiva per quanto riguarda la Teleangectasia Emorragica Ereditaria, alla quale abbiamo rivolto alcune domande.
Cosa ha fatto scattare in te la passione per la scienza?
Non ricordo un particolare evento che ha fatto scattare in me la passione per la scienza. Penso piuttosto di avere sempre avuto una particolare predisposizione per l’indagine scientifica.
Da piccola passavo ore al microscopio, regalatomi su mia richiesta, a osservare gli insetti per capire com’erano fatti. In camera mia non mancava mai un erbario che mi divertivo a fare con le mie amiche, raccogliendo e classificando accuratamente ogni genere di piante. Ricercare il segreto che spiegava il mistero della vita sulla Terra, questo era il mio obiettivo. Non subivo tanto il fascino della letteratura o della storia quanto quello della scienza e della matematica. Osservavo, sezionavo, raccoglievo, catalogavo, facevo mille esperimenti con il mio “piccolo chimico”.
A scuola, era durante le ore di scienze che trovavo sia un forte stimolo alla mia curiosità, sia delle risposte concrete alle domande che mi ponevo. Mi ricordo che, quando andavamo in laboratorio, prima di ogni esperimento, mi piaceva confrontarmi coi miei compagni per ipotizzare cosa sarebbe successo. Alla fine dell’esperimento si stabiliva chi aveva avuto l’intuizione più vicina alla realtà e non erano poche le volte che la scienza ci lasciava a bocca aperta.
Quando poi si è trattato di scegliere cosa avrei fatto da grande e, di conseguenza, quale facoltà universitaria frequentare, è stato naturale indirizzarmi prima verso le Biotecnologie e poi verso il corso in Biologia Molecolare e Genetica.
Come hai sviluppato un interesse nell’HHT?
Il mio interesse per l’HHT è nato per caso durante il mio internato di tesi per il conseguimento della laurea magistrale in Biologia all’Università di Pavia.
Le malattie genetiche mi hanno sempre incuriosito molto perché ti mettono di fronte alla potenza della genetica, ti fanno capire che basta una piccola variazione nel DNA per produrre una particolare condizione patologica che può influire anche in maniera drastica sulla vita delle persone.
La Teleangectasia Emorragica Ereditaria (HHT) è una malattia di cui si sa molto dal punto di vista clinico ma poco dal punto di vista molecolare. Mi spiego, ad oggi i principali sintomi e complicazioni dell’HHT sono noti, così come sono disponibili tecniche di prevenzione e trattamento di alcune manifestazioni della malattia, ma non si sa ancora cosa succede a livello molecolare, cioè non si conoscono appieno i meccanismi con cui l’anomalia nel DNA va a inficiare il normale sviluppo vascolare.
Dal punto di vista molecolare, quindi, per una malattia come l’HHT ci si può “sbizzarrire” nella ricerca.
Per fare un esempio di quanto la ricerca sia indietro, basti pensare che ci sono ancora centinaia e centinaia di varianti nei due geni principali responsabili dell’HHT di cui non si sa ancora se siano effettivamente patogenetiche, cioè non siamo sicuri al 100% che causino la malattia. Questo rappresenta un grande ostacolo perché un paziente che presenta una mutazione che rientra in questa categoria non potrà avere una diagnosi genetica certa di HHT e le diagnosi “probabili” creano un senso di incertezza e di sfiducia.
Oltre al mero e basilare studio sulle mutazioni, possono quindi essere svolte tantissime altre ricerche più complesse e io in particolare, finora, ho contribuito a due studi che presto pubblicheremo.
È stato grazie alla professoressa Carla Olivieri, che da anni si occupa di studiare, di ricercare e seguire da esperta genetista i pazienti HHT, che ho conosciuto questa malattia. Lavorare a stretto contatto con lei mi ha trasmesso la sua passione, la sua completa dedizione per lo studio e la ricerca, ma non solo, anche la cura e l’attenzione nei confronti dei pazienti.
Una volta concluso il mio percorso di studi poi, ho realizzato che non potevo interrompere il mio lavoro di ricerca, era troppo importante per me, c’erano ancora tante cose da scoprire, ogni giorno mi sentivo di appartenere sempre di più al mondo della ricerca e ho cominciato a realizzare che questo era ciò che mi piaceva e quello che volevo fare.
In che modo il tuo lavoro ha un impatto sulla vita dei pazienti con HHT?
Dapprima mi preme spiegare di che cosa si occupi effettivamente un biologo molecolare perché nell’immaginario comune la figura del biologo è legata per lo più allo studio delle piante, degli animali e dei microorganismi.
Il biologo molecolare studia le informazioni contenute nel DNA e gli effetti che le variazioni che si verificano in esso provocano nella cellula e nell’organismo.
Nel mio caso, il lavoro si svolge sul materiale biologico che il paziente HHT fornisce ed è finalizzato a capire più approfonditamente in che modo la variazione contenuta nel DNA produca la condizione patologica del paziente. Solo una profonda conoscenza di questi meccanismi, a livello fisiologico e a livello patologico, potrà portare all’ideazione e alla messa a punto di terapie, sia generali per l’HHT sia più mirate per i singoli casi.
Un contributo più concreto e immediato del mio lavoro sui pazienti HHT è l’analisi di mutazione sui loro familiari.
Per i non addetti ai lavori, dato che l’HHT è una malattia genetica, cioè si trasmette di generazione in generazione, fare analisi di mutazione significa andare a ricercare se anche i genitori, i fratelli, i figli o i nipoti del paziente hanno nel loro DNA la mutazione che causa l’HHT. Quest’analisi, quindi, stabilisce con certezza se anche i familiari sono affetti da HHT e se sono a rischio di sviluppare malformazioni vascolari a livello di organi interni. Sapendo ciò, possono di conseguenza sottoporsi a frequenti screening clinici per prevenire gravi complicazioni e sono consapevoli del fatto che la variante in gioco può essere trasmessa anche alla generazione successiva.
Che difficoltà incontra una donna che lavora nel campo scientifico?
Oggi, rispetto al passato, quando il lavoro delle donne in campo scientifico non veniva nemmeno riconosciuto, le cose sono decisamente cambiate. Per rimanere nel mio ambito, negli anni ’50 il fondamentale contributo di Rosalind Franklin, alla scoperta della struttura del DNA, venne eclissato da quello dei suoi colleghi uomini e il suo lavoro non venne nemmeno menzionato quando i tre scienziati (Watson, Crick e Wilkins) vennero insigniti del premio Nobel per la medicina. Quest’anno invece, prima volta nella storia di questo prestigioso premio, il Nobel per la chimica è stato assegnato a due donne, Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, per la messa a punto di CRISPR-Cas9, tecnica per l’editing genomico. Un traguardo importante.
Rimane ancora, per una donna, la difficoltà, specialmente in Italia, di coniugare la carriera con la famiglia, ma questa è una questione che non riguarda solo il mondo della scienza. Nella mia breve esperienza, mi sono trovata a lavorare con molte donne e questo fa sperare in un futuro al femminile.
Che messaggio vorresti dare alle giovani ragazze interessate a diventare scienziate?
Credo che uno dei messaggi più belli alle ragazze che come me sognano di diventare scienziate lo abbia lasciato Rosalyn Yalow, premio Nobel per la Medicina nel 1977:
“(..) dobbiamo credere in noi stesse o nessuno crederà in noi; dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire; e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo”.
Se siete davvero animate dalla passione, non mollate!
Speriamo che le parole di Anna Sbalchiero possano essere di buon auspicio e d’esempio per tutte quelle giovani donne che nutrono amore e interesse nei confronti della scienza. Grazie ad Anna e a chi, come lei, svolge il proprio lavoro con dedizione e speranza!
Intervista a cura di Antonella Maggio