Antonella, diagnosi a 38 anni
Mi chiamo Antonella ho 51 anni e sono nata nella “dotta e grassa” Bologna e sarà per questo che, quando in una serata piovosa di fine novembre del 2004 ho comunicato alla mia famiglia che la domenica successiva mi sarei fatta ricoverare al Policlinico di Bari, tutti hanno pensato che fossi impazzita.
Ma facciamo un passo indietro. Ho vissuto i miei primi 23 anni di vita senza accusare disturbi specifici, diciamo nella norma, l’emicrania con aura era il mio maggior problema, poi un giorno a causa di un persistente mal di stomaco su consiglio del mio medico, mi sottopongo ad ulteriori esami da cui emerge che il problema non è lo stomaco ma il polmone destro. Vorrebbero tentare una broncoscopia con biopsia ma una grave emorragia glielo impedisce. Successivamente vengo sottoposta ad una scintigrafia e numerose tac che spingono i medici a collegare l’opacità ad un fattore congenito. A causa della reazione allergica al mezzo di contrasto della scintigrafia sviluppo una serie di allergie come al nichel, al pomodoro e ad alcuni conservanti, inizio a dimagrire, sono sempre più stanca e compiere attività normali per una persona della mia età diventano ogni giorno più pesanti.
Inizio il mio personale viaggio tra medici, esami e diagnosi improbabili, come l’anoressia. Io adoro mangiare e mi piace cucinare. Tutte le consulenze finiscono con una diagnosi di “stress”. Alla luce dei fatti ero stressata davvero ma solo dal fatto che nessuno capiva che cosa avessi. Io sapevo che il problema era fisico e non mentale ma ho deciso comunque di andare in analisi. Magari avevano ragione loro. Per 2 anni mi sono sottoposta diligentemente a terapia settimanale ma devo dire la verità la mia terapista si divertiva molto durante le Volti e Storie nostre sedute e ho sempre avuto il sospetto che servissero più a lei che a me, almeno in quel momento. Successivamente invece sono servite anche a me eccome.
Nel frattempo mi sono sposata e ho avuto Carlotta, che ora ha 15 anni, per chi crede nei miracoli lei lo è veramente: frutto di una gravidanza pesantissima anche a causa di violente epistassi e di un parto che avrei saputo poi essere stato rischiosissimo. Nel mese di giugno di quell’anno a causa di una tosse persistente e pensando ad una allergia, decido di farmi visitare all’ambulatorio di allergologia del reparto di Fisiopatologia Respiratoria del Sant’Orsola. Durante l’anamnesi racconto loro dell’opacità al polmone destro e decidono di farmi un rx torace, il risultato sarà sconfortante, le opacità sono diverse.
Mi ricordo in particolare di un giovane specializzando il Dott. Tavalazzi che appena mi vede mi chiede se sono sempre stata blu? In un primo momento non capivo cosa intendesse ma poi l’emogas chiarisce i suoi dubbi: la mia saturazione è a 88 e per poter tornare a casa da mia figlia devo firmare perché vorrebbero ricoverarmi immediatamente. Mi ricordo il senso di frustrazione di quel giorno mentre tornando a casa in macchina da sola pensavo a quei lunghi 15 anni di visite inconcludenti, di tempo e denaro speso inutilmente e delle discussioni con la mia famiglia, che pur sostenendomi, pensava davvero che il problema fosse solo nella mia testa.
Ma poi questo giovane specializzando notò che io ero “blu”! Mi ricoverano per 22 giorni e vedo ogni giorno nei loro occhi l’indecisione su cosa fare se operarmi o embolizzarmi. Il primo intervento fatto senza adeguata preparazione non risolve il problema, non hanno le spirali del diametro giusto ed esco dalla sala operatoria ancora sotto ossigeno. Sono fuori di me dalla rabbia. Sono disposta a spostarmi in un’altra struttura, anche all’estero, capisco che la mia è una patologia strana e quindi non di facile risoluzione. Ma loro non vogliono mollarmi, sarebbe una sconfitta. Quindi trovano nel reparto di cardiologia le spirali giuste e il medico giusto, il dott. Marzocchi, embolizza le fistole di maggiori dimensioni ed esco dalla sala operatoria senza ossigeno. Vengo dimessa con la diagnosi di fistole artero-venose polmonari. I primi tempi mi sembra di stare meglio, l’ossigeno è su valori accettabili ma ho altri sintomi inspiegabili come le epistassi ad intervalli irregolari. La convinzione che c’è qualcosa che ancora non è chiaro. Penso a mia figlia, devo assolutamente scoprire se ho una malattia che posso averle trasmesso. Inizio a navigare su internet partendo dai sintomi e mi si apre la pagina della HHT Onlus, inizio a leggere e penso che quella sono io, stanno parlando di me, io sto esattamente così. Senza pensarci troppo decido di scrivere una e-mail al Centro HHT di Bari, al Prof. Sabbà.
Non speravo neppure in una risposta ma mi sbagliavo. Dopo una sola ora dall’invio della e-mail il Prof. Sabbà mi chiamò e mi disse che la domenica successiva sarebbe arrivato dagli Stati Uniti il Prof. White e che non potevo perdere un’occasione come questa. Decisi di andare. Tutti i miei familiari cercano di convincermi a non partire ma ho avuto il coraggio di prendere quel treno da sola per arrivare in un ospedale sconosciuto dentro una città sconosciuta. Una sensazione che però è durata pochissimo perché ho ricevuto un ‘accoglienza straordinaria da parte tutti.
La dott.sa Suppressa, nonostante fosse domenica sera, mi ha aspettato in reparto, gli infermieri mi avevano tenuto il pasto in caldo e gli altri pazienti HHT mi invitarono a far parte del loro “Rendu-Osler” fan club. Il giorno dopo ho conosciuto il Prof. Sabbà e mi è sembrato un sogno parlare con qualcuno che finalmente capisse i miei sintomi, ed il mio stato d’animo e che mi desse una vera diagnosi insieme alla speranza di un trattamento. Sono ritornata a Bari nel luglio del 2005 per farmi embolizzare nuovamente ai polmoni dal Prof. White, da allora faccio i controlli qui a Bologna e poi li invio a Bari.
Dal punto di vista psicologico è stato un periodo pesante perché se da un lato ero sollevata nel sapere finalmente quale fosse la mia patologia dall’altro dovevo accettare il fatto di avere una malattia rara ancora senza cura. L’associazione è diventata un punto di riferimento importante perché anche se vivo in una città con buoni ospedali questa malattia è assolutamente sconosciuta e sapere che ci sono persone che si stanno impegnando per migliorare la mia vita e quella degli altri pazienti HHT mi dà un senso di speranza che almeno per i nostri figli si possa arrivare ad una cura cercando nel frattempo di vivere nel miglior modo possibile.
Perché questo succeda anche noi pazienti abbiamo il dovere di sostenere l’associazione, di diffondere il più possibile notizie sulla patologia tra parenti ed amici e soprattutto con i medici che, quando sentono “ho la malattia di Rendu-Osler-Weber”, rispondono: “come ha detto scusi?”. Buona vita a tutti. Antonella