Giulia, diagnosi a 18 anni
Ho pensato e ripensato a come raccontare la mia storia, a quali informazioni selezionare e al tipo di messaggio che vorrei comunicavi. Sono convinta che ognuno di noi malati di hht abbia una storia personale più o meno lunga e complessa e tentare di ricostruirla condensandola in poche righe non risulta certo così semplice: occorre un lavoro a ritroso, doloroso ma anche terapeutico, sulla propria memoria e su se stessi. Inizierò molto brevemente a parlare di come abbiamo scoperto di avere l’hht.
Mia nonna, che da tutta la vita soffriva di epistassi, nel lontano 1975 al’età di 55 anni, ebbe un’emorragia polmonare da un gigantesca fistola che richiese l’asportazione del lobo inferiore di un polmone. Le fu quindi diagnosticata la malattia, ma nessuno ci disse che si trattava di una patologia ereditaria. Diciotto anni più tardi mia sorella svenne a scuola (frequentavamo lo stesso liceo io il 5° anno e lei il 1°), la ricoverarono e la tac denunciò “macchie”più o meno estese, diffuse al cervello e ai polmoni. Immaginerete da soli la nostra disperazione per cui non mi soffermerò sulla descrizione dello stato d’animo di chi viene a sapere dall’oggi al domani che la propria figlia e sorella (che solo due mesi prima aveva vinto la corsa campestre organizzata dall’istituto!) è a serio rischio di vita.
La prima diagnosi, fortunatamente errata, fu quella di un tumore talmente diffuso da non poter essere operato. Fu poi mia madre a raccontare ai medici di quella “strana cosa” che aveva provocato l’emorragia a mia nonna e solo a quel punto i dottori (con un grande sforzo di memoria dato che lo spazio riservato a questa patologia nei testi di medicina è decisamente minimo) compresero di cosa si trattasse: la Sindrome di Rendu Osler Weber. Una volta ottenuta la diagnosi rimaneva di trovare una terapia: la strada della chirurgia tradizionale era chiaramente impraticabile, ma ci dissero che c’era qualcuno che avrebbe forse potuto trattare le malformazioni attraverso delle embolizzazioni. Da allora ad oggi mia sorella ne ha affrontate circa 20. Provvidenziale fu l’incontro con il Prof. Casasco, neuroradiologo interventista in grado di embolizzare anche fistole polmonari, argentino d’origine, che a quel tempo operava in Francia e forniva consulenze a Perugia.
Come saprete la malattia non “salta la generazione” quindi anche mia madre doveva esserne affetta; infatti dagli screening effetuati risultò una fistola pomonare che trattò tra un intervento e l’altro di mia sorella. Mi sottoposi ai controlli anche io e …bingo! Su due figlie entrambe avevamo l’hht, anche se in forme molto diverse: la malattia si è manifestata in me in maniera molto meno severa. Al di là di ripetute e talvolta cospicue epistassi, ho avuto soltanto una piccolissima MAV cerebrale trattata con la radioterapia all’età di 21 anni, niente rispetto a quello che è toccato a mia sorella!
Nonostante tutto ritengo che la nostra sia un’ottima qualità di vita: la malattia non ci ha impedito di fare nulla ed è per questo che, dopo il matrimonio, io e mio marito abbiamo deciso di avere un figlio, pur sapendo che c’era il 50 % di probabilità di trasmettergli l’hht. Si è trattato di una decisione ponderata in tutte le sue possibili conseguenze, preceduta da una lunga serie di indagini e consulenze perché nel frattempo mi era stata riscontrata una fistola polmonare che con la gravidanza avrebbe potuto ingrandirsi (e così è stato) ed un’altra patologia rara della coagulazione, anch’essa ereditaria, il morbo di Von Willebrand (fortunatamente anche questa in forma lieve).
Non sono stata mai così bene come in gravidanza: le mie analisi erano perfette, non ho avuto neanche una nausea e tutto procedeva al meglio fino al settimo mese quando, durante una visita di controllo, il ginecologo notò qualcosa di anomalo nella morfologia cerebrale di Caterina (è così che si chiama il mio miracolo vivente!). Subito pensammo alla possibilità che si trattasse di qualcosa di riconducibile all’hht, ma ben presto ci dissero che Caterina era affetta da un’altra malattia rara: l’agenesia totale del corpo calloso con cisti interemisferica. Cate è nata al policlinico Gemelli dove è stata sottoposta a due interventi di microchirurgia per ridurre la cisti, a 4 e 6 mesi di vita.
Nonostante fossimo concentrati su questo “famoso” corpo calloso che non c’era, il dubbio che Caterina potesse essere affetta anche dall’hht rimaneva e si faceva ogni giorno più pressante (le mamme certe cose le sentono!). Più volte, durante le diverse ospedalizzazioni chiesi di farle il prelievo per accertare la presenza o meno della malattia, ma sembrava una questione di secondaria importanza, finchè, verso i 18 mesi, durante una risonanza di controllo della cisti, il primario della radiologia del Gemelli decise di valutare anche la situazione vascolare e fu così che scoprimmo che Cate aveva una MAV cerebrale importante da trattare immediatamente.
A quella embolizzazione cerebrale ne è seguita una polmonare ed un’altra ci attende a breve. Se siete arrivati a leggere fino a questo punto vi meritate senz’altro un lieto fine . Alcuni di voi potrebbero pensare che ce lo siamo andati a cercare, che siamo dei superficiali che hanno scelto di complicarsi ancora di più la vita, volendo per egoismo un figlio a tutti i costi. Vi risponderò che i figli sempre si fanno per egoismo; che nel mio caso specifico ho addirittura messo a rischio la mia vita per averne uno e mi scuserete se non riesco a sentirmi in colpa per questo. Non credo di essere più coraggiosa di voi, né più forte, al contrario, sono estremamente fragile e insicura.
Forse però sono stata tenace: ho insistito per avere mia figlia ed ho avuto una bambina splendida, straordinariamente intelligente e serena; ho insistito nel volerla allattare anche dopo un taglio cesareo e una separazione durata 12 giorni e l’ho fatto per 18 mesi; in sintesi, ho insistito a volere dalla vita tutto ciò che di buono potesse darmi e siamo,malgrado tutto, felici di esserci. Io mi ritengo molto, ma molto fortunata: sono qui a raccontarvi la mia storia e mia figlia è viva, accanto a me.
Girando per gli ospedali in questi anni ho visto situazioni molto più drammatiche della mia e ho apprezzato l’eroismo di certi genitori che si trovano ogni giorno instancabilmente in prima linea a combattere malattie che non lasciano alcuno scampo. La mia visione cristiana della vita mi fa sentire quasi una privilegiata, poiché la sofferenza che mi ha accompagnato in certi momenti mi ha insegnato il vero senso delle cose. Non sono certo una masochista ed è ovvio che avrei preferito che tutto scorresse in modo molto più lineare, ma esiste forse un diritto a nascere sani? La mia fortuna è stata quella di riconoscere di aver avuto un notevole vantaggio sulla malattia: il fatto di sapere in anticipo che mia figlia avrebbe potuto esserne affetta ci ha consentito di intervenire prima che il morbo potesse dare sintomi e far danni.
Questo ha davvero fatto la differenza! Vorrei che fosse chiaro a tutti quelli che, anche nella mia cerchia di familiari, pur sapendo che potrebbero avere l’hht, preferiscono fingere di non sapere, lasciando campo libero ad un male subdolo, silenzioso che quando si manifesta, lo fa in maniera rovinosa e spesso irreparabile. Io sono dell’idea che i problemi si possono risolvere solo affrontandoli e che negarli non giovi a molto. Non posso congedarmi senza aver ringraziato quanti hanno messo la loro professionalità e umanità al servizio di questa causa che non gli ha certo procurato fama o tornaconti di alcun genere se non un’ infinita riconoscenza da parte di noi malati.
Grazie al Prof. Casasco, autore della quasi totalità degli interventi effettuati dalla mia famiglia, medico di straordinaria bravura, eccezionalmente capace e con noi sempre rassicurante. Grazie al Prof. Sabbà e alla dottoressa Suppressa, esperti di hht che operano nell’efficiente centro di Bari, per essersi resi disponibili a fornire informazioni e a guidarci nella gestione della malattia, insegnandoci l’importanza di un approccio multiispecialistico e offrendo in modo sempre gratuito le loro conoscenze.
Grazie, inoltre, a chi ha voluto che si costituisse questa associazione, a chi la porta avanti con dedizione e impegno encomiabili: sapere di non essere soli non può essere una consolazione, ma rende tutto molto più sopportabile. E’ grazie a tutto questo se sono qui a testimoniare, con ottimismo, la mia fiducia verso la medicina e più in generale verso la vita.